Oggi ti proponiamo di ascoltare il magnifico podcast Essere e avere di Maria Luisa Pezzali su Radio 24. Ascolta i primi dieci minuti della puntata dedicata ai segreti del naming e prova a rispondere alle seguenti domande:
2. Perché il segno può
essere più importante del naming?
3. Quali sono gli errori
da evitare?
4. Come si fa con i nomi
intraducibili?
Con l’aiuto delle informazioni della registrazione cerca di definire i seguenti termini:
brand essence
culture check
naming
Trascrizione
-Quanto
vale il brand per nomi e prodotti? Buon pomeriggio da Maria Luisa Pezzali. Oggi
a “Essere e avere. Dimmi cosa compri e ti dirò chi sei”, parleremo dei casi dei
grandi marchi occidentali che cambiano nome sul mercato cinese per esplorare i
segreti del naming, il ramo del marketing che si occupa appunto dello studio
della scelta dei nomi dei prodotti
e dei brand. Focus sui trend dedicato invece al nuovo artigianato o artigianato
d'avanguardia: quando il "fatto a mano" fa tendenza.
[…]
[3’
50’’] - Oscar Wilde docet. Quanto pesa l’importanza di chiamarsi in un
determinato modo. Per brand e prodotti vale una fortuna, soprattutto nel
mercato più in espansione che ci sia: il mercato cinese.
-Divertimento
gustoso, passi veloci, pulizia superiore. Ecco cosa significano in cinese i
nomi dati rispettivamente a Cocacola, Reebok e Colgate. Nomi opportunamente
modificati e non semplicemente tradotti a livello fonetico in mandarino.
Altrimenti i risultati sarebbero stati molto meno efficaci. Chi ha
sottovalutato l’importanza del nome e del suo significato profondo in Cina dove
il mercato dei beni di consumo cresce del 13% ogni anno, del 25% se si parla di
beni di lusso, ha sfiorato il disastro. È corsa ai ripari Microsoft, che aveva
mantenuto il nome Bing al proprio motore di ricerca ignorando che in mandarino
significa “virus”, cambiandolo così in Ing-bing, cioè “a colpo sicuro”. Oppure
Peugeot che tradotto significa “prostituta”e ora è boom per le società di
consulenza che vendono nomi adatti a brand e prodotti che decidono di
scavalcare la grande muraglia.
-Questo
dunque è quanto accade in Cina. Da noi invece si assiste alla personalizzazione
dei prodotti di massa, la cosiddetta customizzazione che soprattutto via
Facebook offrono gli stessi grandi brand, la possibilità di ricevere cioè a
casa i prodotti con il proprio nome stampato sulla confezione al posto del
marchio. Mi piace citare su tutte l’iniziativa di Heinz, la multinazionale
dell’alimentare che in Inghilterra con l’operazione Get well soup ha offerto la
possibilità di inviare a un amico
malato una lattina di zuppa personalizzata.
Nomi
su misura dunque tra Oriente e Occidente. Quanto conta ancora il naming in
pubblicità e nel marketing, dove puntare per non sbagliare? Lo abbiamo chiesto
a Chiara Sozzi Pomati, direttore creativo dell’agenzia Future Brand.
-
Il naming è sicuramente importantissimo. Il problema è che con la
globalizzazione il segno forse diventa ancora più importante di quello che in
realtà non sia il naming. Pensando a popolazioni intere che possono non essere
in grado di leggere un nome e di conseguenza un brand bisognerebbe andare
sempre di più verso un linguaggio visivo e universale. Il futuro sarà più nel
segno certamente. Non vorrei fare i soliti esempi di Apple e Nike ma
sicuramente loro hanno individuato la strada più corretta in un mondo che va
sempre di più verso una globalizzazione, noi dobbiamo cercare di essere il più
visuale possibile, ecco trovare delle icone forti in grado di trasferire
l’essence delle marche prima ancora che compaia il nome della marca stessa.
-
Quali sono gli errori da non fare?
-
Gli errori da non fare sono cercare di esportare il proprio brand senza prima
essere passati attraverso un culture check, quindi un test culturale
all’estero e quindi approfondire
quelli che sono gli usi e costumi e la cultura del Paese nel quale si vuole
andare. Bisogna stare attenti non solo al suono, al segno, anche addirittura ai
colori. Io posso fare degli esempi clamorosi in cui si andava in Paesi
musulmani con dei brand colorati di verde e sapendo benissimo che il verde è il
colore dell’Islam e quindi… Insomma, bisogna stare attenti a tutto.
-
Le vengono in mente dei casi di successo o viceversa, dei casi di flop che
hanno fatto storia e scuola in qualche modo?
-
Assolutamente sì. Casi di successo sono sicuramente Cocacola che nel momento in
cui ha dovuto tradurre il proprio nome in questo caso, l’ha tradotto con un
fonema che in mandarino significa gusto e divertimento. La stessa cosa
Heineken, grandissimo successo. La stessa Ikea nel momento in cui ha dovuto
appunto esportare il proprio brand in Cina l’ha tradotto con un significato
molto interessante e molto in linea con la propria essence, quindi “la casa economica”.
Ci sono ahimè invece dei casi abbastanza clamorosi di flop, come Nike che si è
spinta con un advertising nel 2004 che aveva come protagonisti dei dragoni che
sappiamo essere abbastanza untouchable in Cina perché considerati ovviamente
sacri e di conseguenza la pubblicità è stata censurata e bandita.
-
Capita a volte di dover rinominare un prodotto perché il nome è stato scelto in
maniera sbagliata e non ha dato i risultati sperati?
-
Sì, in realtà ci sono nomi che non
sono traducibili. In questo caso piuttosto che trovare soluzioni poco
interessanti sia in termini fonetici che in termini visivi, quindi ideogrammi,
sarebbe meglio cercare di tradurre quella che è la brand essence, quindi quali
sono i valori della marca.
Il nostro mercato è abbastanza aperto. Ormai i consumatori sono abituati a
leggere, parlo ovviamente del mercato italiano, a interpretare nomi esterofili.
È chiaro che quando un nome è troppo poco descrittivo del prodotto che deve
rapprensentare forse è il caso di fare un approfondimento.
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